Il derby non sarà mai una partita come tutte le altre, specialmente per noi. Diversi anni fa, forse un po' inconsciamente, decidemmo di tifare una piccola squadra e fu in quel preciso istante che ci negammo la possibilità di esultare per la conquista di uno scudetto o di una coppa. La dimensione, a cui presto ci abituammo, fu quella dei polverosi campi di provincia, dove era esiguo lo spazio riservato alla tecnica e, per avere ragione degli avversari, bisognava far leva, esclusivamente, su cuore e polmoni. Niente riflettori, zero pay tv, ma campi pieni ed un senso innato di appartenenza che, innalzatosi dalle curve, costituiva per gli interpreti, impegnati sul terreno di gioco, impulso principale per centrare il successo.
Le bacheche vuote non ci scoraggiavano, sostituite com’erano da due date, cerchiate in rosso già ad agosto ed utili, a direzionare in un senso ben preciso ogni sforzo. Dall’esito della stagione precedente, dipendeva la possibilità di incrociare sul tuo cammino i rivali di sempre e quando ciò avveniva, un miscuglio sensazioni cominciavano a girarti vorticosamente in testa. Il derby moltiplica ogni stato d’animo, raddoppia il carico d’ansia. Non ti fa dormire la notte prima e, il suo esito condiziona irrimediabilmente il tuo umore, nei giorni successivi al triplice fischio. Puoi vincere e toccare il cielo con un dito, perdere e sprofondare nel baratro, il tutto con la stessa facilità. La stracittadina è gara a sé, esula dal campionato, dal calcio e dallo sport, e, diventando questione sociale, storica e geografica, rappresenta l’unica possibilità, per ribadire chi sei ma, soprattutto, per urlare in faccia a quegli altri, cosa hai avuto la fortuna di non essere.
Stagliate sullo sfondo simili premesse, potete facilmente capire la delusione provata nel momento in cui abbiamo appreso che Messina – Reggina, si sarebbe disputata senza uno dei suoi protagonisti principali, il tifo ospite. Il divieto di varcare lo Stretto, imposto agli amaranto non è aspetto secondario ma, al contrario, elemento fondamentale, che ad un certo punto mi fa seriamente pensare di boicottare il match. Con due squadre mediocri ad affrontarsi sul campo, l’unico spettacolo degno di valere il prezzo del biglietto sarebbe stato quello offerto dagli spalti, irrimediabilmente compromesso da una decisione di cui facciamo tremenda fatica a comprendere il significato.
Nessun “Ponte no grazie, vogliamo una diga che ci divida”, niente “Amaranto è il colore che…” ma, soltanto una fredda vigilia in termini di termometro e code al botteghino, resa più complicata, qualora ce ne fosse bisogno, da una data ed un orario, scarsamente idonei a costituire strumento di attrazione per i dubbiosi. Alla fine la voglia di essere presente al di là di tutto prevale, compro il biglietto ed incastrando qualche impegno, mi presento allo stadio. Il solito gradino è più affollato, e, anche se i numeri non sono gli stessi a cui, un incontro del genere ci ha abituato, qualcuno, alla fine, ha deciso di sfidare intemperie e scomodità, pur di sostenere i propri colori. E’ un piacere rivedere facce note: studenti e lavoratori fuori sede, a casa per le vacanze di Natale non hanno rinunciato all’appuntamento. Tempi duri li hanno costretti ad emigrare ma il sangue giallorosso, continua a scorrere, fluido, nelle loro vene.
Le squadre entrano in campo, mentre dal megafono l’appello è chiaro e condivisibile, senza rivali non esiste sfottò, nessun coro a chi non c’è. Sosteniamo la maglia senza risparmiare fiato, “il Mesina è un ideale il Messina è la mia vita”, le corde vocali si sforzano pur di spingere quel pallone in rete, eppure le conclusioni di Madonia e Pozzebon ci strozzano l’urlo in gola. La mente vola, è così ogni volta. Quando non segni pensi alla beffa, li pronta, dietro l’angolo. Quanto il pallone sappia essere crudele lo hai testato sulla tua pelle e quel dolore giusto oggi non hai alcuna intenzione di provarlo. L’intervallo ci porta al bar dove i commenti sono unanimi: “un pizzico di fortuna in più, solo questo”. Trascorso il tradizionale quarto d’ora, si torna a fare sul serio, in curva e sul prato verde. La Reggina appare più determinata, noi resistiamo senza troppi patemi. Al 73’ il lampo di Bruno fa scoppiare il tripudio. Si gela ma non ci importa, siamo in vantaggio il resto è solo cornice, che diventa poesia, quando, Milinkovic, sotto una fitta nevicata, si invola in contropiede. E’ l’azione del 2-0, il miracolo di Natale più atteso, giunto con qualche giorno di ritardo. Jingle bells è colonna sonora immancabile, non siamo a San Pietroburgo ma al derby dello Stretto, il primo della storia dipinto di bianco e lo abbiamo vinto noi. Un sogno? Forse, ma nel caso in cui lo fosse, siete pregati di non svegliarci.
Il nostro anno difficile si conclude con il sorriso più bello ed in fondo ce lo siamo meritati. Adesso largo al 2017, non sappiamo cosa ci aspetterà ma ci saremo, pronti ad affrontare il futuro.
TANTI AUGURI CURVA SUD.
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