Si dice che le cose si inizino ad apprezzare nel momento in cui si perdono, che la distanza talvolta aiuti a rafforzare i rapporti. Appare paradossale, impossibile da accettare per alcuni ma, poche differenze intercorrono fra le relazioni umane ed il legame di un tifoso con la propria squadra del cuore.
Sia chiaro, in questi venti anni di Messina più volte mi è capitato di saltare una partita. Motivazioni svariate, tutte egualmente valide, mi hanno impedito, in diverse occasioni, di essere su quei gradoni a spendere voce e fiato per sostenere una passione. Le assenze dagli spalti, sempre dolorose erano, tuttavia, accettate con serenità, sorrette dalla consapevolezza che si trattasse esclusivamente di un episodio. Quindici giorni dopo sarei tornato al mio posto, accanto agli amici di sempre e, qualche metro più giù, in campo, ad aspettarmi avrei trovato, lei, la biancoscudata, eterno filo rosso della mia esistenza. La vita, però, è maestra a scombinare i piani, mischiare le carte, favorire lo smarrimento di certezze e punti di riferimento. E così mentre, sul rettangolo verde, la cura Lucarelli inizia a produrre i suoi frutti, restituendo all’ambiente una formazione degna dello scudo impresso sulle maglie, io mi ritrovo in giro per l’Italia nel tentativo di conferire concretezza a quei sogni che, a 25 anni, ancora è lecito custodire in un cassetto.
Casertana, Taranto ed infine il derby con il Catania. Come in un climax, le prestazioni dei giallorossi crescono in maniera proporzionale alla difficoltà dell’impegno, esaltando una tifoseria finalmente fiera dei suoi paladini. “Vi vogliamo così”, urla la gente e sulle note di “Chi non salta è catanese”, in curva Sud si balla. Mille chilometri più a nord, il telefono non smette di squillare: messaggi audio, fotografie, video ed i social network, che quando vogliono sono piuttosto crudeli, mi ricordano quanto dolorosa possa essere l’altra faccia della medaglia nel caso in cui, tutto andasse come mi auguro ed, in un futuro più o meno prossimo, fossi costretto a lasciare la città.
Esauriti gli esami, in attesa dei risultati faccio rientro a casa. Uno sguardo veloce al calendario: domenica arriva il Matera. Indipendentemente dall’esito delle prove, nessuno potrà togliermi la gioia del ritorno in curva.
L’ultima? Non lo so, di sicuro, negli anni recenti, una delle più sentite. Il distacco ha aumentato il desiderio, e sebbene manchino ancora diverse ore, non riesco a pensare ad altro. Il gruppo di amici è lì, al completo e con qualcuno ci si vede al pomeriggio. Il tempo di una birra, rigorosamente Dello Stretto, poi dritti verso lo stadio. Non ci saranno più Juventus e Milan, ma i riflettori accesi e le gare in notturna hanno sempre il loro fascino. Quando varchiamo la soglia le squadre sono in campo per il riscaldamento, uno sguardo finale al cellulare, si parte. Inutile dire che tutto, rispetto a qualche settimana fa è cambiato. In campo, al cospetto di una formazione che non smette un secondo di attaccare, non indietreggiamo di un centimetro, teniamo botta, siamo concentratissimi, corriamo ed in contropiede potremmo addirittura passare. Il vento è girato, i tifosi apprezzano ed a modo loro ricambiano. Il sostegno è incessante, i cori risuonano forte, si canta all’unisono e compatti si rema tutti verso la stessa direzione. Così salvarsi diventa impresa largamente alla portata, d’altronde “Messina gimme hope”. Ci si ferma solo per esporre gli striscioni: due, semplici, ma al contempo intrisi di grande significato: si commemora una mamma recentemente scomparsa, perché il dolore è universale e la vicinanza doverosa. Si sostiene il coraggio di coloro che si sono sforzati di credere all’impossibile e di realizzarlo: in alto le pinte, il birrificio Messina è oggi realtà.
Poi si torna alla gara, la sofferenza è costante ma, cammina di pari passo con la voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Le energie, ridotte al lumicino, si moltiplicano all’urlo di “forza ragazzi”. La famosa maglia tanto cara ai supporters, allo scoccare del novantesimo è abbondantemente sudata ed accompagnata negli spogliatoi da applausi scroscianti, sintomo lapalissiano della sinergia ritrovata.
I calciatori ospiti non ci stanno, il pareggio per loro vale una sconfitta e arresta la rincorsa ai vertici della graduatoria. La scenata di cui si rendono protagonisti a fine partita è deprecabile, pensavano di venire qui e passeggiare, tornano a casa con un pugno di mosche: la storia in fondo è “Magistra vitae” e se ne dissacri i luoghi tende a punirti.
Della loro tracotanza non ci curiamo vogliamo piuttosto far festa, una giornata del genere merita una conclusione all’altezza. Appuntamento in centro: focaccia, birra e sciarpa al collo in attesa della prossima, dolcissima domenica.
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